Due giornaliste, con alle spalle 20 anni di ricerche biografiche, hanno deciso di concentrarsi sul variegato mondo femminile, così poco studiato fino a non molto tempo fa e che la storia ha spesso relegato nel dimenticatoio...

martedì 8 marzo 2016

Rosa GENONI


di Angela Frattolillo

(Tirano, So, 1867- Varese, 1954), pioniera della moda

La grande guerra ha avuto tra i suoi molteplici effetti quello di aver rivoluzionato  - si è detto e ripetuto - la struttura e il modo di sentire della società italiana, ed è stato anche il primo grande banco di prova per “testare” la determinazione, lo spirito d’intraprendenza e l’energia del “gentil sesso”. Un cambiamento profondo avviene, sempre grazie alle donne, nel mondo della moda, e riguarda tutte, operaie e aristocratiche.
Era come se avessero deciso, tutte insieme riflesse in uno specchio, che i codici della seduzione seguiti fino ad allora non erano più validi. Non avendo vicino un uomo a cui rendere conto potevano decidere da sole come vestirsi, scegliere quello che ritenevano più adatto, senza più obbedire a canoni obsoleti. Liberarono il loro corpo: niente più velette e cappelloni, niente più gonne lunghe e gli odiatissimi busti con le soffocanti stecche, niente più strati di biancheria.
Diversi fattori contribuirono a questo processo. Certamente il lavoro delle donne fuori casa, nelle fabbriche, alla guida di tram, postine e pompiere richiedeva l’assunzione di un modello di abbigliamento più lineare e semplice, più pratico e svelto, che consentisse libertà di movimento.
Poi c’era un’altra ragione più istintiva ed emotiva, ma strettamente legata alla guerra: una nuova idea di sessualità. Il corredo ricamato con ago e cuore, le trine della biancheria corrispondevano ad una tranquilla sessualità familiare. La guerra fa vivere le sensazioni, gli amori, le emozioni  in uno spazio di tempo ristretto. L’uomo che hai vicino una notte potrebbe essere già morto il giorno dopo. Non c’era dunque più tempo per fantasticare su corpi immaginati e grondanti di attese e ricami. Esisteva solo la realtà di un corpo vicino, presente, magari solo per poche ore.
Proprio in questo ambito tutto femminile opera una pioniera della moda.
Rosa Angela Caterina Genoni nasce il 15 giugno 1867 nell’antico borgo lombardo di Tirano, nella famiglia di un povero calzolaio Luigi, ricco solo di figli. Se ne contano diciannove ma ne sopravivranno solo dodici. La piccola ha frequentato la III elementare: sa dunque leggere e scrivere. A dieci anni una zia che abita a Milano la prende per alleggerire la famiglia di una bocca da sfamare. Lavorerà come “piscinina”, la tuttofare, in un laboratorio di sartoria; luogo da cui per molte si apriva un corso scivoloso verso la prostituzione per l’agevole adescamento per strada delle piccole mentre effettuavano le consegne .
La città è in pieno sviluppo industriale, commerciale, edilizio. Richiama capitali e manodopera per alimentare il processo di modernizzazione. Girano tramway e automobili, si aprono i Grandi Magazzini di Aux Villes d’Italia dei fratelli Bocconi. A Milano , nel cui interland è fiorente l’industria tessile, sono molti i laboratori di sartoria che occupano l’85% di donne lavoratrici con un caleidoscopio di mansioni: operaie, piscinine, sarte, cucitrici di bianco, ricamatrici, stiratrici, maestre, premières.
La moda è francese, la nostra sartoria è solo esecutiva. Importa i figurini e li realizza. Ciascuna sartoria procede per conto suo, senza correlazione o contatti con le altre; semmai rivalità e sospetti.
Rosa si immerge nel lavoro di sartoria, alla sera frequenta la scuola serale per conseguire la licenza elementare. Conosce e frequenta i circoli operai ove incontra Anna Kuliscioff di cui sarà amica per tutta la vita. A diciotto anni diventa “maestra” nell’atélier Dall’Oro, si mormora che sia l’amante del figlio della padrona.
Si iscrive a un corso di francese indetto dalle Scuole Comunali.
Ha obiettivi chiari: vuole andare a Parigi per carpire i segreti della sua eccellenza nell’eleganza mondiale.
Nel 1886 lascia Milano per Nizza dove, messa alla prova con un manichino, confeziona subito un abito che esposto, in vetrina, trova due compratrici. Le viene assegnato il posto di première: potrà creare modelli.
Rosa e un abito da lei realizzato
L’anno seguente è a Parigi: atélier di rue de la Paix ove si impratichisce nel disegno tecnico e creativo, apprende i metodi della catena produttiva, del processo creativo e del lavoro in squadra. Osserva che la sarte sono tutte colte, conoscono la Storia dell’Arte e i trucchi del mestiere. Si ispirano perciò alla tradizione artistica utilizzando materiali di ogni provenienza, e sono sostenute da una filiera consolidata.
Nel 1888 ritorna a Milano e lavora nella sartoria Bellotti.
Rosa guadagna tanto da poter aiutare i fratelli: Emilio per andare in Australia, ove il Governo assegna tanta terra quanta ne riesce a dissodare in un anno, fornendo gratuitamente macchine e bestiame, e Carlo, che, avendo litigato con un socio, è accusato di averlo ucciso. Per quest’ultimo chiede la difesa dell’avvocato socialista Alfredo Podreider che vive a Milano con la madre Carolina. I due si innamoreranno, ma benché nel 1903 nasca la loro unica e amata Fanny, non potranno sposarsi fino al ’24, alla morte della madre.
Nel 1895 Rosa viene assunta dalla prestigiosa H. Haardt et fils, ubicata in Corso Vittorio Emanuele, 28, che vanta filiali a Sanremo, St. Moritz e Lucerna.
Una volta all’anno compie un viaggio a Parigi per rifornirsi di figurini e cogliere le nuove tendenze della moda. La rivista “Margherita” detta i nuovi canoni: gonna, camicetta e giacca. Aboliti: mutandoni, i tormentosi busti con le stecche, i cumuli di sottoveste, gli abiti ridondanti. Rosa vorrebbe abbattere anche i codici rigidi di abbigliamento che distinguono le giovani dalle meno giovani, le popolane dalle signore.
Rosa con la figlia
Nel 1903  viene promossa Direttrice della Haardt, ha 200 persone alle sue dipendenze. Aggiunge i suoi modelli ai figurini francesi.
Convinta del valore inestimabile dell’istruzione, insegna Storia del Costume nella Scuola Professionale femminile della Società Umanitaria dal 1905, impartendo per due serate alla settimana anche le nozioni pratiche. Vi fonda poi dirigendolo, l’intero settore della sartoria.
Rosa pone pubblicamente il problema di unire tutte le forze del Paese per dare vita a una vera organizzazione della moda che possa gareggiare per forza e prestigio con quella d’oltralpe. Ne offre l’esempio allestendo, unica fra le sarte italiane, un padiglione all’Esposizione Internazionale di Milano, nel 1905.
Vi espone otto modelli ispirati a Raffaello, Tiziano, Veronese, Mantegna, Botticelli, Bramante, Donatello e Barabino (pittore genovese dell’800).
Tutto è italiano: stoffe, manichini di una ditta romana, gioielli della scuola orafa di Umanitaria. Mette in mostra anche un abito sportivo con un’ardita gonna pantaloni, dando prova della sua capacità di coniugare passato e futuro. Il suo padiglione viene distrutto da un incendio, ma rapidamente ne allestisce uno nuovo con altri cinque suoi modelli.
La stampa più seguita, come Le Figaro, L’Italie illustrée, La Prensa di Buenos Ayres, riconosce l’originalità e l’attualità dei suoi modelli raggiungendo i lettori di tutto il globo.
Suoi abiti in vetrina
Rosa si aggiudica il 30 novembre il Grand Prix della Giuria Internazionale conseguendo la Consacrazione al I Congresso della Donna Italiana a Roma, 23 – 30 aprile 1908, ove è in veste di delegata dell’Umanitaria insieme a Carlotta Clerici.
Il suo discorso s’impernia sul quesito della mancanza di una moda italiana nel quadro generale di rinnovamento della vita nazionale industriale e artistica.
Afferma che la donna italiana è depositaria del decoro e della bellezza, che esistono artigiane di grande inventiva e lavoratrici della moda in ogni sua articolazione. Espone il suo progetto: attingere al glorioso passato nazionale per trovare l’ispirazione ; necessaria  collaborazione con l’industria; mobilitazione di tutte le risorse per sviluppare le arti applicate finalizzate all’attuazione di una moda nazionale; istituzioni di scuole professionali femminili.
Rosa Genoni divulgherà la sua proposta su varie riviste, come “Il Marzocco”, “Vita d’arte”, Vita femminile”, “L’Eleganza” ed invita le donne celebri a farsi ambasciatrici della moda italiana. Aderiscono le attrici Dina Galli e Lyda Borelli, la baronessa Maria de Lindenberg e la principessa Letizia Bonaparte moglie del duca Amedeo d’Aosta.
Nasce nel 1909 il “Comitato per una moda di pura arte italiana” presieduto da Giuseppe Visconti di Modrone, gentiluomo della regina Elena, imprenditore nel settore tessile (velluti); Franca Florio e altre signore dell’industria, Borsalino, Lanerossi, Jesurum, patrocinano l’iniziativa.
Nel 1910 il Comitato indice su “Vita Italiana” un concorso per un abito da sera. Il successo è strepitoso.
Il I Premio viene assegnato ad un disegnatore faentino: Francesco Nonni.
I modelli dei primi quattro vincitori, realizzati dalla sartoria Haardt, vengono acquistati dalla baronessa de Lindenberg.
Nel 1911, 50° dell’Unità d’Italia, all’Esposizione Internazionale di Torino c’è un padiglione della sartoria nazionale.
Rosa è impegnata come socialista per il miglioramento delle condizioni di lavoro, affianca perciò Anna Maria Mozzoni nel Congresso Internazionale Socialista a Zurigo; Anna Kuliscioff  e Argentina Altobelli per la richiesta delle  otto ore lavorative, abolizione del lavoro notturno, divieto delle mansioni pericolose e insalubri, due mesi di congedo per la maternità.
La guerra di Libia prima, e il I Conflitto Mondiale, poi , allarmano Rosa e la distolgono dai problemi della moda. E’ una pacifista convinta per cui avrà uno scontro frontale con Teresa Labriola e tutte le interventiste.
La sua casa, via Kramer 6, diventerà la sede italiana del Movimento Internazionale per la Pace. Visiterà tutte le capitali europee con il Comitato per perorare la pace. Dalla Polizia italiana viene segnalata come disfattista e in tale veste, pedinata e perseguitata.
Imperterrita fonda la “Pro Humanitate” per assistere i prigionieri di guerra affiancata dal fratello pittore Ernesto e dal marito.
La morte di Anna Kuliscioff nel 1925 e l’avvento del fascismo segnano una fase tragica nella vita di questa intrepida donna eternamente alla ricerca del bello e del bene, fedele al suo credo socialista.
Si orienta verso la teosofia scegliendo di entrare nel cono d’ombra fino alla morte avvenuta a Varese nel 1954.
Angela Frattolillo©2016 tutti i diritti riservati.       

Bibliografia:
S. Azzolina, Rosa Genoni, la moda, il femminismo e il pacifismo, Università Roma 3, 2009;        
A. BUTTAFUOCO,  Le Mariucce, Milano, 1998 ;
A. Fiorentini, Abiti in festa. L’ornamento e la sartoria, Livorno, 1995; 
A. Frattolillo, I ruoli della donna nella Grande Guerra, Fano, 2015;
R. Genoni, La storia della moda attraverso i secoli, Bergamo, 1925;
T. Vannucci, Rosa Genoni: alle origini della moda italiana, Tesi di laurea, Firenze, 2004.




3 commenti:

  1. Bellissima biografia Rita, mi sono commossa nel leggerla ed ho rivissuto parte della storia della mia famiglia, per parte di madre, sulla tradizione sartoriale. La mia Bisnonna, Elvira Talamona - di origini ispaniche - aveva una sartoria in via Mulino delle Armi a Milano. Lì sono cresciute tra aghi, fili, manichini, tanto lavoro e mormorii femminili mia madre e mia zia, la zia è ancora in vita ma la memoria non l'assiste troppo! Grazie per avermi fatto rivivere quel periodo! Alma

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  2. La biografia è davvero interessantissima, ma l'ha scritta Angela e non Rita. Certi ricordi colpiscono davvero e ti trasportano nel passato offrendoti emozioni dimenticate. Brava Angela! (Barbara)

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  3. Ops, brava Angela, mi ha confuso il cognome!

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