Due giornaliste, con alle spalle 20 anni di ricerche biografiche, hanno deciso di concentrarsi sul variegato mondo femminile, così poco studiato fino a non molto tempo fa e che la storia ha spesso relegato nel dimenticatoio...

lunedì 29 giugno 2015

Stefania TURR e Flavia STENO




 di Angela Frattolillo


 Stefania Turr (Roma 1885-1940)
 Flavia Steno (Lugano 1887 - Genova 1946)

Le prime corrispondenti di guerra “inviate al fronte” (1ma guerra mondiale)
   

La Grande guerra non è stata solo caratterizzata dalla massiccia mobilitazione femminile nelle campagne, nelle fabbriche, e negli uffici, dove le donne hanno dovuto sostituire gli uomini al fronte, o come crocerossine e infermiere volontarie.  Essa ha rappresentato – come ha osservato un’ osservatrice disincantata dei cambiamenti in atto nella condizione femminile, Paola Baronchelli Grosson (1866 – 1954), giornalista, scrittrice per l’infanzia, intellettuale non femminista - un passaggio epocale dal vecchio al nuovo secolo che ha comportato la nascita della “donna nuova”.
Quali gli eventi determinanti un così rapido mutamento? La crisi europea e la crisi del femminismo, entrambi  dovuti al mancato riconoscimento dei diritti, secondo la Grosson. Sono queste donne di “spirito nuovo” - come le definisce Teresa Labriola - a violare le convenzioni, i limiti, gli stereotipi imposti da sempre al genere. Penso a Sibilla Aleramo, a Regina Terruzzi, a Maria Luisa Perduca o Anna Garofalo.
“ Nuove” sono le inviate come corrispondenti di guerra; lavoro pericoloso e riservato solo ai maschi.
La cronista di guerra irrompe sullo scenario con il suo linguaggio per raccontare la guerra alle donne che solo dal 1905 (anno di fondazione de “La Donna”) hanno cominciato a dibattere temi culturali e di attualità legati  alla subalternità nella vita familiare e civile.
Partono  per il fronte Annie Vivanti per il periodico “La Donna”; Barbara Allason; Stefania Turr per il mensile “La Madre italiana”; Ester Danesi Traversari per “Il Messaggero”.
Nel drappello emerge il profilo della contessa Turr, figlia del patriota magiaro Istvan Turr. Questi, tenente del Reggimento Granatieri Ungheresi all’inizio della I Guerra d’Indipendenza, diventa Capitano della Legione Ungherese nel Regno di Sardegna.
Nel 1859, come capitano dei Cacciatori delle Alpi, partecipa alla spedizione dei Mille. Fu promosso da Garibaldi a Generale di Divisione dell’esercito meridionale e nominato Governatore di Napoli. Fu sempre  Garibaldi, nel 1866 (III Guerra di Indipendenza), a dargli l’incarico di preparare l’insurrezione dell’Ungheria.
donne nella Prima Guerra mondiale
 In questa girandola guerresca, Stefano ha il tempo di contrarre un matrimonio importante con Adeline Bonaparte Wyse (1861), che sancisce un altro legame politico prestigioso: la sorella Maria sposa Urbano Rattazzi. In questo illustre contesto familiare, fortemente politicizzato, nasce Stefania a Roma (1885). Cresce nell’ ideale della Patria e si forma su alcuni concetti imprescindibili: militarismo, politica e azione. Quando scoppia la I Guerra Mondiale s’infrange la stretta alleanza internazionale delle donne che avevano stabilito il legame tra abolizione della guerra e acquisizione del voto. In questo clima si muove la giornalista Stefania Turr con la sua rivista “ La Madre Italiana”, fondata nel maggio 1916 per gli orfani di guerra, e affiancata dalla relativa Associazione. Nel 1918 questa confluirà nell’Associazione Pro-orfani fondata da Elvira Cimino.
La maternità diventa il filo conduttore dell’emancipazionismo di Stefania.
 Il ruolo materno si stravolge, piegato al proprio ideale della madre fiera di mandare i propri figli a combattere. Mentre cioè Fanny Del Ry spinge le madri a ribellarsi al destino assurdo che le stava privando dei figli, insieme a “La difesa della lavoratrice” con il suo celebre manifesto del 1914, Stefania, rifacendosi all’esperienza risorgimentale del padre, si assume il compito di veicolare nel suo periodico la viscerale passione per la causa italiana insieme alla strenua lotta contro l’oppressore austriaco.
Stefania Turr confeziona cioè la sua rivista con notazioni militariste per diffondere le sue idee e convinzioni che spronino all’azione, ma fatta da una donna per le donne che stanno acquisendo una nuova consapevolezza del proprio ruolo nella società e che vogliono condividere le loro ansie e paure con qualcuna che sappia e ascolti.
 Sono tutte quelle donne i cui mariti, padri, figli, fidanzati, fratelli, sono al fronte; hanno l’intimo bisogno di conoscerne le condizioni di vita e le difficoltà che affrontano.
Soprattutto hanno bisogno di essere rassicurate e nel contempo stimolate a pretendere, finita la guerra, ciò che spetterà loro di diritto per aver reso alla patria un grande servizio. Stefania intraprende così la via della partecipazione diretta e consapevole: sarà nelle trincee cronista di guerra, a fianco dei soldati, non per consolare o confortare, ma per condividerne la vita, le sofferenze, la nobiltà delle gesta, e vedere in faccia « il nemico di mio padre e della mia famiglia… ».

 Ora, le uniche donne a sperimentare la vita al Fronte erano le crocerossine; Stefania non ha nulla della crocerossina, quindi la sua richiesta conosce la complicata burocrazia fino alla sospirata autorizzazione.
Alle Trincee d’Italia. Note di guerra di una donna è il suo reportage a trecentosessanta gradi in qualità di inviata di guerra.
«Io vado al fronte, e vorrei gridarlo alto specialmente a quella damina che mi sta incontro tutta agghindata come una pupattola e tutta intenta a tenere in buon ordine le pieghe del suo abito…e anche a quel giovanotto che mi pare così brutto nel suo abito borghese: che diamine, un giovanotto vestito da borghese in un treno che va verso Udine, ma perché vi è montato? Che viene a fare questo disutilaccio? Ora non è il tempo di agghindarsi o di distrarsi, con severità romana bisogna procedere raccolti nei gravi pensieri della patria in armi.
Io vado al fronte e mi pare di non essere più una debole donna che va fra i soldati solo per compiere un’opera morale, ma in quella di dover partire per prendere il comando di un reggimento, per affrontare la vera guerra…
Come madre italiana posso recare il saluto di tutte le madri d’Italia ai diletti figli delle trincee, parlare ai soldati, vivere della loro vita, ascoltare dalla loro viva voce il racconto delle loro gesta…
I latini hanno tutta la grandezza d’animo che hanno ereditato dai loro padri, i tedeschi hanno tutta la bassezza d’animo che gli stramisero i loro antenati.
Ogni latino dinanzi alla sventura irreparabile sente fremere in sé l’anima di Cesare…ogni germano non può che sentire l’anima di Arminio che quando vide sovrastargli il castigo del tradimento si tagliò in più guise la faccia perché potesse sfuggire ai soldati romani».

Una forte empatia la spinge a visitare i luoghi di guerra, a immedesimarsi nelle vicende dei tanti giovani che hanno sacrificato la vita per la patria.
Quindi una narrazione vivida e attenta della geografia dei luoghi incontrati, ma filtrati dal pensiero costante di ciò che hanno provato i soldati nel calpestare luoghi tanto impervi.
 Con i suoi occhi vediamo il S. Michele e Gradisca, il selvatico Carso, il monte Nero che la fa vibrare di emozione, Caporetto e la vetta del Calvario, il Sabotino e Monfalcone, Gorizia e la conca di Tolmino, Aquileia salutata come una parentesi di quiete dopo tanti orrori, poi Grado e infine le Alpi.
Il pathos ci accosta al dolore dei soldati; il freddo, la neve, la desolazione dei luoghi ci entra dentro perché Stefania s’immedesima con le loro vicende. I racconti di guerra sono pubblicati nel volume La via aspra della Vittoria: seguito al libro per i fanciulli I soldati d’Italia racconti della guerra.
 Lo stile, ridondante, è dominato da domande retoriche e da uno spregiudicato uso di aggettivi. Patria è la parola sempre scritta con l’iniziale maiuscola e ripetuta in modo ossessivo. In mezzo a tanta retorica e a tante certezze si fa strada una serie di domande sul ruolo che le donne hanno nel conflitto. Dedicherà poi, molti articoli all’argomento convincendosi dell’impossibilità di escludere la componente femminile dalla vita politica.
Da qui il pensiero costante:
«Oggi il bilancio morale e materiale degli anni di guerra è tutto a favore di noi donne e possiamo presentarci a fronte alta dinanzi agli uomini e domandar loro: e ora? Nei giorni di lavoro febbrili, nei giorni della trepidazione e del dolore voi ci avete chiamate, noi siamo accorse e vi abbiamo dato l’aiuto necessario e proficuo. Noi non possiamo più essere assenti dalla vita politica delle nazioni e voi dovete provvedere ».

Esige quindi parità tra i sessi, l’inserimento delle donne nella vita sociale e politica come un dovere e non una concessione. Le rivendicazioni gridate in uno stile asciutto e rabbioso sono di chi non si accontenta più di stare dall’altra parte della storia.
Nello spirito “d’alto e nobile patriottismo” di Genova si inserisce invece la vicenda di Amalia Cottini Osta, nota come Flavia Steno (Lugano, 1877- Genova, 1946), sorella dell’attore Armando Cottini.  Entra nella redazione del “Secolo XIX” fin dal 1898, prima come giornalista, poi come scrittrice.
Personalità “diversa” rispetto ai ruoli tradizionali. E’ membro dell’Associazione Ligure dei Giornalisti, dell’Associazione della donna, interlocutrice de La Fronde, periodico redatto da sole donne.
Flavia Steno entrò “per ragionamento” in quell’aristocrazia di donne che “segnò i primi passi della modernità”.
Dal novembre 1911 aveva denunciato l’asservimento dell’Austria, come della Germania, al mondo bancario, rifacendosi alle tesi che Francesco Coppola andava elaborando sull’Idea Nazionale.
Dal 1915 il suo interventismo si concretizzò nel ruolo di corrispondente di guerra e agente di propaganda senza soluzione di continuità.
 In questo doppio registro fu fra le poche donne a vedere e raccontare il conflitto al fronte, infiammando una mobilitazione femminile patriottica che indusse donna Paola Baronchelli Grosson a inserirla fra le 157 “donne benemerite” della città di Genova.
Con la lettera inviata il 26 giugno 1915 all’editore del suo giornale “Il Secolo XIX”, ing. Mario Perrone, si reca a Berlino da cui invia dispacci quotidiani con lo pseudonimo di Mario Valeri. La conoscenza della lingua tedesca le diede la possibilità di mescolarsi tra la gente, di ascoltare le voci rivelando le condizioni della Germania ad una anno dalla guerra non voluta da tutti, tranne che in Baviera.

Nell’ottobre/novembre 1915, Flavia Steno andò a Palmanova per avere dal Comando Supremo l’autorizzazione a visitare le formazioni sanitarie del Fronte. Dalla serie di corrispondenze “Nell’orbita della guerra” sull’organizzazione sanitaria militare, preceduta da un’inchiesta sui ricoveri genovesi, si enucleano i motivi del suo pensiero: l’esaltazione del soldato « corpo da curare – anima della nazione », il rilancio dell’estetizzazione futuristica della guerra, il richiamo all’istinto di maternità.



Flavia Steno, nei diversi ruoli di scrittrice, inviata, conferenziera, assolve al compito di smascherare il nemico, la Germania, in un processo di assolutizzazione del conflitto contro il pangermanesimo, rinvigorendo la Lega Italiana di Azione Antitedesca fondata a Genova nel 1915 dal dott. Luigi Maria Bossi. Le sue corrispondenze di guerra sono raccolte in volume con il titolo Il germanesimo senza maschera (1917). Come autrice di romanzi d’appendice,  pubblicati prima a puntate  e poi in volume dall’editore Treves , ottiene grande successo alla sua epoca. Tra i titoli: L’ultimo sogno, Il pallone fantasma (1911); Così, la vita, Fra cielo e mare (1912); La nuova Eva, La veste di amianto (1913); Oltre l’odio (1917). Vivrà anche le vicende della seconda guerra mondiale. Si spegne nel 1946 a Genova, la città che, riconoscente per un impegno così totale, le ha dedicato una strada. E’ sepolta nel cimitero monumentale di Staglieno.
Fonti bibliografiche
Per la bibliografia dettagliata si rimanda al volume di Angela Frattolillo, I ruoli della donna nella Grande Guerra, Sonciniana, Fano, 2015
Angela Frattolillo©2015 tutti i diritti riservati


2 commenti:

  1. Ho appena finito di leggere questo avvincente testo. L'attualità delle storie svelate e raccontate è raccolta, secondo me, in un invito a tutte le donne che oggi si affannano a rincorrere i rivoli di un quotidiano misero di piccoli e grandi ideali: nell'invito ad abbandonare le grettezze e gli individualismi per divenire l'avanguardia culturale di questo paese bisognoso di bambini educati, ragazzi creativi, giovani intraprendenti e uomini leali, perché solo se si è liberi da condizionamenti economici e indifferenti ai poteri forti si può traghettare la società verso un nuovo indispensabile equilibrio con sé stessi, l'altro, la natura. Questo ruolo potrà essere svolto solo dalle donne, ma solo se decideranno di tornare ad essere quello che sono sempre state: i custodi della famiglia e conseguentemente, del macrocosmo in cui essa si muove e cresce.
    T. di Zinno

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