Due giornaliste, con alle spalle 20 anni di ricerche biografiche, hanno deciso di concentrarsi sul variegato mondo femminile, così poco studiato fino a non molto tempo fa e che la storia ha spesso relegato nel dimenticatoio...

lunedì 8 settembre 2014

Lucrezia BORGIA


Lucrezia Borgia, affresco del Pinturicchio
di Rita Frattolillo

(Subiaco, 18.4. 1480- Ferrara, 24.6. 1519), nobildonna rinascimentale, signora di Ferrara; figlia di Rodrigo Borgia, eletto poi papa con il nome di Alessandro VI

Lo ammetto:  avevo deciso di non occuparmene. Per una serie di motivi, primo tra tutti il fatto che per lei, donna sicuramente affascinante, si sono consumati i classici fiumi d’inchiostro; per secoli, la sua figura, su cui era stato cucito il cliché della donna prototipo di ogni nefandezza, dall’incesto alla giostra di mariti, amanti e morti avvelenati per sua mano, ha riempito la testa e la penna di romanzieri, musicisti, cineasti e persino fumettisti, tramandandoci il mito dell’eroina negativa.

Un mito che ha resistito come una condanna senz’appello malgrado tutti i documenti, le testimonianze contrarie, che parlavano di una donna coraggiosa, scaltra, che si è saputa districare in un mondo gestito da uomini dominatori.
Pressoché interminabile l’elenco di autori che -  calcando a piacimento  la mano sugli aspetti osé - l’hanno scelta come protagonista, tra cui Hugo e Dumas padre, poi,  Grillandi, Montalbàn, Puzo.


 Il suo indubbio fascino ha colpito ancora, ultimamente,  se persino l’indomito Dario Fo malgrado la sua non più verde età ha inaugurato per lei il suo primo romanzo storico La figlia del papa, in cui si dichiara incantato “dal coraggio, dallo slancio straordinario e dalla dignità altissima che ha dimostrato Lucrezia, una donna che affronta la condizione in cui si trova, il suo tempo e addirittura arriva allo scontro con il padre” (trasmissione Ottoemezzo con Lilli Gruber, La 7).
Louis Boulanger, Lucrezia Borgia e l'insulto (Museo di Nîmes)


 Ma non è stato neanche questo a spingermi verso Lucrezia, bensì l’aver potuto ammirare una parte… fisica di lei: una ciocca dei suoi capelli!
Già mi sembra di vedere qualcuno sorridere di questa mia confessione, indubbiamente naîve, ma tant’è: se persino Lord Byron rimase affascinato dagli scritti di Lucrezia (conservati a Milano)  al punto da rubare qualche filo dei  suoi capelli che  accompagnavano le pagine, perché io non dovrei ammettere che, quando nella pinacoteca Ambrosiana (Milano), dopo essere rimasta abbagliata dalla sublime collezione del cardinale Borromeo, dall’aula Leonardi e dal prezioso Codice Atlantico, non mi aspettavo di provare delle sensazioni così forti e indescrivibili davanti a quella teca raffinata che racchiudeva una lunga, impalpabile, ciocca di fini capelli d’oro rosso che sembravano avere una vita propria…

 Da quel momento, mi sono sentita  posseduta da un sortilegio, preda di un tarlo che mi ripeteva  “Scrivi…scrivi…” anche se a mente fredda sapevo bene che niente c’era da aggiungere  ancora a quanto già era stato detto, scritto e rappresentato più che  in abbondanza.
Mi veniva in mente l’espressione ficcante di Maria Bellonci, la quale, in una lettera al suo editore Arnoldo Mondadori, scriveva di Lucrezia che non era “né fiore del male né innocente fiorellino sbattuto dalla tempesta”(lettera del 5.11. 1932, Carteggio 1932-1968; Fondazione Mondadori- Archivio Storico Mondad. edit.).
Ma pensavo anche che la storia aveva riservato all’affascinante Lucrezia un destino per lo meno singolare - e sicuramente quello peggiore - tra tutti i membri della sua famiglia.
Perché, pur essendo stata l’unica a non macchiarsi di delitti, a differenza del padre-pontefice e del fratello Cesare, è stata  condannata definitivamente come grande corruttrice e avvelenatrice.

E’ un fatto che, a dispetto degli studiosi e scrittori (a cominciare da Giuseppe Carponi, nel 1866, fino a Indro Montanelli, 1965, passando per l’eccelsa Maria Bellonci) che si sono basati sui documenti inediti per fare luce sui fatti storici, distinguendo tra gossip,  storiografia e verità,  è tuttora dura a morire l’idea di  una Lucrezia come femme fatale  nonché crudele avvelenatrice, anche perché quest’idea continua a trovare terreno fertile in certa fantasia morbosa e, cosa da tener presente, vende di più.

A questo punto, la prima domanda da porsi è: se non fosse stata figlia di papa, e, soprattutto, figlia di quel papa, Lucrezia avrebbe ricevuto dai cronisti del tempo, dai letterati e dall’aristocrazia lo stesso trattamento?
 A mio modestissimo parere, se lei non avesse avuto quel cognome, se non fosse stata così a lungo sotto i riflettori, sarebbe passata alla Storia come una castellana rinascimentale qualunque, non molto diversa dalle varie Bianca Cappello…

E invece…come abbiamo visto, detto e ripetuto, nel corso dei secoli la figura di Lucrezia è stata associata alla trista fama della sua potente famiglia. Famiglia  che  ha finito per incarnare il simbolo della cinica politica machiavellica e della corruzione sessuale attribuita ai papi rinascimentali.
E infatti il filosofo Leibniz in un suo libro (1696) di gran successo scriveva che “non si era mai visto una Corte più insudiciata di crimini come quella di Alessandro VI”, mentre oltre un secolo dopo lo storico  francese Jules Michelet  descriveva Lucrezia come un “demone femminile insediato sul trono vaticano”.

Ma le accuse più infamanti sono state tramandate ai posteri da Jacopo Sannazzaro, Giovanni Pontano e Francesco Guicciardini.
 Quest’ultimo, come gli altri due coevo di Lucrezia,  nella sua Storia d’Italia scriveva con sicurezza : “ Lucrezia Borgia non si considera se non come la  figlia incestuosa di Alessandro VI, l’amante a un tempo di suo padre e dei suoi due fratelli [Cesare e Juan]”.
Papa  Alessandro VI
Come mai degli umanisti di quello spessore  erano  potuti arrivare a quel punto?
 In effetti la reputazione di Lucrezia si era offuscata in seguito all’accusa di incesto rivolta da Giovanni Sforza, suo primo marito,  rabbioso per essere stato costretto ad accettare l’annullamento del matrimonio preteso dal papa Alessandro VI.
lettera di Papa Alessandro VI alla figlia

 E qui dobbiamo riavvolgere il nastro della Storia non senza premettere che è indispensabile contestualizzare i fatti nel loro tempo, tenendo presente la lotta per la sopravvivenza o per la conquista del potere da parte di stati italiani piccoli e grandi; considerando che gli intrighi, gli assassini per fini politici erano all’ordine del giorno, e che le alleanze si tessevano e si disfacevano con la rapidità del fulmine; per cui l’amico di ieri poteva facilmente diventare  acerrimo nemico il giorno dopo.
 In tale prospettiva non sorprende più di tanto se  anche i matrimoni fossero considerati uno strumento come un altro per allacciare o rafforzare  alleanze politiche tra le famiglie potenti, in vista di interessi futuri, degli appoggi e comunque dei vantaggi e benefici politici o militari che ne potevano derivare.
La regola, insomma, è sempre quella di non guardare le cose con il  punto di vista odierno, “con il senno di poi”, ma cercare di penetrare nello spirito del tempo.
 Un tempo, quello  Rinascimentale, che, al di là della sua spietatezza, è stato faro di cultura e civiltà per  altri popoli, avendo prodotto i maggiori artisti e umanisti, geni assoluti per il loro talento e la loro creatività.
 Anche Lucrezia, terza figlia di Rodrigo Borgia, ricco e potente spagnolo nonché arcivescovo di Valencia (Castiglia), come tutte le ragazze del suo ceto ricevette  un’educazione completa. Non solo è bilingue perfetta (la madre Vannozza Cattanei è italiana), ma impara il francese e le lingue classiche; inoltre apprende la musica, la danza, il ricamo, va a scuola di eloquenza e di poesia.

 Non le manca una solida educazione religiosa, ricevuta nel prestigioso convento di San Sisto a Roma.
Lucrezia Borgia secondo il pittore Dosso Dossi

Ma quando al padre riesce il “colpo” di  ascendere al soglio pontificio (11.8.1492), elezione a cui aveva fortemente contribuito il cardinale Ascanio Sforza, quale modo migliore di un matrimonio per suggellare l’alleanza con i potenti Sforza, e gratificare così anche il cardinale?

 Ed ecco che, poco più che undicenne, Lucrezia è già merce di scambio, una pedina nelle mani dell’ ambizioso genitore, che pure la ama con tutto il cuore.
Insomma una “vittima della logica della ragion di Stato” come ha scritto Cristina Ubaldi Giuliano.
 Il prescelto è Giovanni Sforza, signore di Pesaro, il quale, due mesi dopo le nozze (1493) quasi sicuramente  non consumate  per un riguardo all’età acerba della sposa, se ne torna nella sua città. Lei resta a Roma, nel palazzo di S. Maria in Portico, residenza ufficiale della coppia, finché si decide a raggiungere il consorte a Pesaro (1494). Qui la sua condotta è irreprensibile, la sua vita decorosa, di “dignissima madonna” come dichiarano i testimoni del tempo.
Tornati entrambi a Roma, nel 1497 accadono degli episodi drammatici tuttora avvolti nel mistero: il fratello di Lucrezia, Juan, il giovane spagnolo Pedro (chiamato Perotto) e la  donzella Pantasilea, entrambi dell’entourage di Lucrezia, vengono assassinati a poca distanza l’uno dall’altro.
Queste morti violente finiscono con l’alimentare la fama sinistra che già circonda i Borgia, e getta ombre sul comportamento di Lucrezia.
 Intanto il padre-pontefice sta covando altri progetti per lei, di nuovo docile strumento dei suoi giochi di potere.
Adesso occorre allearsi con i regnanti di Napoli, e re Alfonso II ha giusto giusto un figlio naturale, Alfonso, che è principe di Salerno.
Il giovane ha appena diciassette ani, è bello e seducente. Ma Lucrezia è già sposata; che fare? Semplice, basta annullare il matrimonio con lo Sforza!

 E se lui si rifiutasse, basterebbe dichiarare la sua impotenza, affermare cioè che il matrimonio non è mai stato consumato.
 Giovanni Sforza dapprima si rifiuta, ma  messo al corrente da Lucrezia  sulle trame oscure del padre riguardanti Milano e gli Sforza, arriva a temere per la sua vita, quindi si arrende alla volontà del pontefice. Sarà proprio il cardinale Ascanio – ironia della sorte -  a decretare l’annullamento delle nozze.

Ecco ora pronto il nuovo matrimonio, sul quale gravano le dicerie causate dalla furia di Giovanni Sforza, che, pur accusando il suocero di incesto, salva comunque Lucrezia, considerandola forse succube del padre, e tenta disperatamente quanto inutilmente di riaverla con sé. (Lo Sforza tempo dopo si risposa con Ginevra Tiepolo e avrà due figli).
Siamo arrivati al 1498. Lucrezia intanto si  è innamorata del marito Alfonso,  nominato  duca di Bisceglie, e nutre per lui – raccontano le cronache – un’autentica passione.
La ragazza è a sua volta nominata governatrice di Foligno, e, benché incinta, si reca a compiere il suo dovere nei  territori assegnati.

Il I.11. 1499 nasce Rodrigo, frutto di questo amore. E’ il ragazzo di cui la madre si prenderà sempre cura fino alla morte prematura, sopraggiunta nel 1512.
Incisione in cui Lucrezia presenta il proprio figlio
Ma nubi nere si stanno addensando sul capo di Lucrezia,  perché  suo fratello Cesare (chiamato il Valentino) sta tessendo per i suoi fini un’alleanza con i francesi (che a loro volta nutrono mire su Napoli), e dunque il cognato napoletano rappresenta un serio ostacolo ai suoi progetti.

 Cesare prepara allora un attentato (1500)  contro il giovane Alfonso, che però, nei pressi di S. Pietro, benché ferito, sfugge agli sgherri. Soccorso, è assistito amorevolmente dalla sorella Sancha e dalla moglie, ma, quando è in via di guarigione, viene strangolato nel suo letto (18.8.1500) dal capitano di Cesare Michelotto Corella.
Lo strazio di Lucrezia davanti al corpo esangue del marito tanto amato è senza fine.  E’ disperata, rifiuta il cibo, non si mostra a corte.
Questa morte segna un momento fondamentale nella sua maturazione: consapevole della cieca ferocia del fratello e del cinismo del padre e dell’ambiente romano, Lucrezia si convince che è tempo di lasciare Roma e i suoi intrighi.

Non passa molto, e già si ventila un nuovo matrimonio; questa volta si tratta di Alfonso I d’Este, primogenito del duca di Ferrara Ercole I.
La sua candidatura è sostenuta da Cesare, il quale progetta un suo stato nella Romagna (e l’alleanza con gli estensi ne avrebbe consolidato la conquista), ed è vista di buon occhio anche da Lucrezia, la quale, grazie a questa unione (30.12.1501), potrebbe, secondo i suoi progetti,  allontanarsi da Roma. 
Appianati i dissapori con il suocero dovuti al costo troppo elevato del suo seguito romano, che viene congedato,  Lucrezia si ambienta piuttosto presto alla corte estense, e acquista la fama di accorta diplomatica, facendo dimenticare le chiacchiere che l’avevano fin lì accompagnata.
E’ bella, intelligente, colta, si fa apprezzare, ed è popolare.
A corte accorrono intellettuali, poeti come l’Ariosto, il Bembo, il Trissino, che la celebrano e intrecciano rapporti con altri famosi esponenti rinascimentali.
Quando  Lucrezia entra in depressione dopo la  morte, durante il parto (5.9.1502),  di una  figlia nata settimina,  il veneziano Pietro Bembo, che l’aveva affascinata con il suo stile di uomo e di letterato, le è vicino e la sostiene; ma poi, per zittire le voci, lui lascia Ferrara: i due non si vedranno più,  e continueranno a intrattenere una corrispondenza epistolare fino al 1517.
Il fratello, Cesare Borgia
 
 Nel 1503 muore Alessandro VI;  Cesare ha dei rovesci di fortuna, cade in disgrazia. Per Lucrezia è un periodo particolarmente pesante; grazie al suo prestigio e alle sue doti diplomatiche cerca di aiutare il fratello, che viene in effetti rilasciato dalla prigionia spagnola. Nel 1504  lei  incontra per la prima volta la cognata Isabella d’Este (considerata per molti versi sua antagonista “naturale”) e suo marito, Francesco Gonzaga signore di Mantova.
lettera di Lucrezia al Gonzaga
Tra i due nasce un’intesa di cui non si preoccupa - dicono i documenti - nessuno dei rispettivi coniugi.
Il 21.1. 1505 muore Ercole I, e allora  il figlio Alfonso I affida alla consorte - cosa piuttosto rara- la gestione delle istanze dei cittadini presso il principe.
La duchessa - scrivono le cronache- assolve il compito con “ingegno e bona gratia”.
Il 19.9. 1505 arriva finalmente il sospirato erede, che però muore un mese dopo.

 Passano altri tre anni, Lucrezia subisce tre aborti, infine ecco l’erede: Ercole nasce il 4.4.1508.
Due mesi dopo, viene accoltellato il poeta ferrarese Ercole Strozzi, che forse faceva da intermediario nello scambio di lettere tra Lucrezia e il cognato Francesco marchese di Mantova.
Morte misteriosa, e ancora più misterioso il fatto che, malgrado il cognome del morto, fosse messo tutto a tacere velocemente accantonando le indagini di rito.
Qualcuno fece il nome del duca Alfonso,  forse reso geloso dall’intrigo tra la moglie e il cognato.

Poco dopo questi eventi dolorosi,  in Lucrezia  cresce un fervore religioso che si andava già manifestando attraverso la lettura di Santa Caterina da Siena e San Bernardino. La sua vita si fa più raccolta; passa lunghi periodi in convento, veste l’abito di terziaria francescana, indossa il cilicio penitenziale.
Nel 1510 fonda il convento di S. Bernardino e il Monte di Pietà per soccorrere i bisognosi, e, quando muore in seguito ad una grave infezione, a trentanove anni appena, dopo aver dato alla luce Isabella Maria,  tutta la popolazione  la piange. Si fa seppellire con l’abito di terziaria, nel monastero del Corpus Domini, nella sua Ferrara.
Lapide di Lucrezia Borgia e del marito Alfonso, duca di Ferrara


Fonti e bibliografia
Maria Bellonci, Lucrezia Borgia e il suo tempo, Mondadori, 1939 (poi 1960; 1974).
Dario Fo, La figlia del papa, Chiarelettere, 2014.
Enciclopedia Treccani, vol. 66, voce “Lucrezia Borgia”.
Fondazione Mondadori, Carteggio 1932-1968; lettera di Maria Bellonci del 5.11. 1932 - Archivio Storico Mondad. Editore.
Lucrezia Borgia a Pesaro (Cristina Ubaldi Giuliano).
Intervista a Dario Fo di Lilli Gruber Trasmissione Ottoemezzo, La7,  del 24.4.2014.
 Wikipedia, voce “Lucrezia Borgia”.
quadro di Louis Boulanger  (per acquistare riproduzione di Louis Boulanger del Museo Victor Hugo di Parigi)






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