Due giornaliste, con alle spalle 20 anni di ricerche biografiche, hanno deciso di concentrarsi sul variegato mondo femminile, così poco studiato fino a non molto tempo fa e che la storia ha spesso relegato nel dimenticatoio...

lunedì 7 aprile 2014

Laura LOMBARDO RADICE o Laura INGRAO


di Rita Frattolillo


(Fiume, 21.9.1913 – Roma 23.3.2003), docente, partigiana, donna politica italiana


Laura nasce alla vigilia della prima guerra mondiale a Fiume, città italiana che allora era lo sbocco sul mare dell’impero austro-ungarico, e che oggi è la croata Rijeka. Cresce con la sorella Giuseppina e il fratello Lucio in una famiglia non comune, per cultura e coerenza di idee.

La madre, Gemma Harasim, maestra poliglotta, è una fiumana irredentista; tra l’altro collabora al giornale triestino “Voce”, espressione di una nuova cultura militante non tradizionale. Il padre, Giuseppe Lombardo Radice, siciliano, è un insigne pedagogista di idee liberali.

Negli anni ’20, malgrado la forte opposizione di Gemma,  Giuseppe accetta di lavorare alla Riforma fascista della scuola voluta dal ministro dell’istruzione, il filosofo siciliano Giovanni Gentile, in qualità di direttore generale per l’istruzione elementare.

 La famiglia si trasferisce quindi a Roma, ma, dopo il massacro del deputato socialista Giacomo Matteotti per mano degli squadristi (10.6.1924), sdegnato e sconvolto, Giuseppe si dimette e torna all’insegnamento. Vessato dal regime fascista, a stento salva la cattedra, e nel ’33 è costretto a chiudere la sua rivista “L’Educazione nazionale”.

 Laura e i fratelli crescono quindi in un ambiente familiare in cui le parole d’ordine sono rispetto, libertà, fedeltà alle proprie idee, tutti valori inculcati giorno dopo giorno da Gemma, che, ritiratasi dall’insegnamento, fa scuola in casa ai  tre figli, mettendo in pratica la sua teoria che ogni bimbo deve “esplorare il mondo a poco a poco. Più lo fa da sé, colle sue forze, aguzzando l’occhio e il pensiero, più questa esplorazione è feconda”. Liberi dagli orari scolastici, i piccoli alunni imparano a coltivare l’orto come a fare teatro, disegnano e frequentano musei, scrivono al padre partito volontario per il fronte (sul Carso) oppure leggono le sue lettere, commentano le fiabe trasformandone la trama a loro piacimento.

 Intanto, mentre Laura e i fratelli vanno avanti negli anni e negli studi, il fascismo invade tutto il tessuto sociale, creando un clima soffocante, al quale la giovane reagisce come può, dando vita con Lucio ad un gruppo di intellettuali romani vicini alle idee marxiste: Giaime e Luigi Pintor, Aldo Natoli, Paolo Bufalini, Mirella De Carolis tra essi. Ma, ad un certo punto, si accorgono che la cultura da sola non basta, che c’è fame di azione concreta, di cambiamento, insomma di politica, soprattutto dopo la guerra di Spagna (1936) e dopo la “scoperta” di Antonio Gramsci. A ventitre anni, nel 1937, Laura vince il concorso di professore e ottiene il primo incarico di insegnamento a Chieti (1937/38). L’allontanamento da Roma dura poco, perché la morte del padre (18.6.1938) segna il suo ritorno nella capitale e l’intensificazione della sua attività nel movimento di cospirazione del gruppo antifascista. Qualche mese, e il governo fascista introduce le leggi per la difesa della razza, che deporteranno ad Auschwitz e Dachau migliaia di ebrei. E’ anche l’ inizio di una parabola che porterà in galera, per “ricostituzione del partito comunista”, Aldo Natoli, Pietro Amendola (figlio di Giovanni, assassinato nel 1926), e Lucio, che, per  l’arresto del 21.12.1939, non può prendere servizio come assistente alla cattedra di geometria analitica. Dovrà attendere fino al ’45 per essere ammesso come assistente alla Sapienza.

 E’ nel momento dell’arresto del fratello che Laura - sono sue parole – ha una svolta, e diventa militante, prendendo coscienza di non essere “soltanto” la sorella di un carcerato, ma una che partecipa in prima persona (Appunti inediti, anni ’80). Entrata nella Resistenza romana, svolge azioni di boicottaggio, organizza scioperi, raccoglie medicine, indumenti e cibo per i perseguitati e i prigionieri politici. Nel lavoro di cospirazione incontra un amico di Lucio, Pietro Ingrao. Per potersi scambiare messaggi, documenti, indicazioni operative, i due giovani devono crearsi una copertura, fingere di essere fidanzati. Non è difficile, anzi: uscire insieme, passeggiare, andare ai concerti… «Stavamo da soli noi due, anche molto a lungo»,  racconta Pietro. «Lei era bella, vitale, intelligente, io un giovanotto di campagna, non ancora trentenne e anche un po’ rozzo. Che devo dire? Allungai le mani: ci provai». La reazione di Laura non si fa aspettare; lo rimette subito a posto, chiarendogli che la loro è solo finzione  mentre gli dà una botta sulla mano.

Sembrava una cosa finita.

Nel dicembre ’42, c’è una nuova ondata di arresti. Lucio, che è un affermato matematico, è tornato libero, ma non si può esporre in quanto controllato dalla polizia, per cui tocca a Mario Alicata e a Pietro, ormai dirigenti del gruppo comunista, informare il partito, al Nord. Il 27 dicembre è arrestato Mario, e allora il partito ordina a Pietro di darsi alla macchia, di sparire. Non può tornare a casa sua, gira Roma salendo e scendendo dai tram per scongiurare i pedinamenti, si fa ospitare da Luchino Visconti, il grande regista discendente della vetusta casata milanese. A tarda sera, prima di salire sul treno, decide di presentarsi dai Lombardo Radice, dove Lucio gli conferma che deve assolutamente partire per Milano. «Fu allora che  venne il momento di salutarsi. E fu Laura ad accompagnarmi al cancello». Il primo bacio fu lì, al cancello, senza sapere se si sarebbero  rivisti, e quando. Per Pietro saranno mesi di clandestinità, e per entrambi un cammino lungo sessant’anni.

La morte del patriota e scrittore Giaime Pintor, saltato a ventiquattro anni su una mina il 1 dicembre’43 nel tentativo di varcare le linee del fronte a Castelnuovo al Volturno, è un durissimo colpo per i suoi amici più stretti, tra cui Laura, che fa ancora più suo il messaggio etico-politico che Giaime aveva indirizzato al fratello minore Luigi sulla necessità degli intellettuali di scendere sul terreno dell’utilità comune e combattere.

Quando la popolazione romana, affamata dalla borsa nera, ed esasperata da una guerra ormai considerata senza sbocco, dà segnali di ribellione, è Laura, insieme alle altre dirigenti del partito comunista clandestino, come Adele Bei, Marcella Lapiccirella, ad organizzare gli assalti ai forni, che dopo l’attentato di via Rasella e l’eccidio delle Fosse Ardeatine si susseguiranno sempre più numerosi.


 Il 3 marzo 1944, Laura, assieme a Marcella e alla fidanzata di Lucio,  Adele Maria, figlia diciottenne dello storico cattolico Carlo Arturo Jemolo, si trova per lavoro come responsabile di zona a viale G. Cesare, nei pressi della caserma dove erano stati appena portati duemila romani. E’ allora che assiste al barbaro assassinio di Teresa Gullace, madre di cinque figli, falciata da una raffica di mitra tedesca mentre cerca di passare uno “sfilatino” di pane e formaggio  al marito Girolamo, uno dei rastrellati.

E’ la scena che a Roberto Rossellini ispirerà il momento più drammatico del film Roma città aperta, con una Anna Magnani indimenticabile nel ruolo di Teresa mentre insegue la camionetta, e a Laura un racconto a tinte forti, specchio del suo coinvolgimento.

Sono loro, Laura, Marcella (incinta, che dopo pochi giorni perde il bambino) e Adele Maria a ricoprire il corpo dell’uccisa di fiori, sono loro le prime a contattare la famiglia, a portare aiuti concreti.
La Liberazione

Poco dopo la liberazione di Roma dall’occupazione nazista (4.6.’44), Laura sposa Pietro, dal quale ha cinque figli, di cui quattro donne, e prosegue nell’attività politica sia nel PCI che nell’UDI (Unione Donne in Italia), tra «comizi, campagne elettorali - sono sue parole - la professione di docente, allattamenti e bambini piccoli».  E’ presente sulla stampa, dove partecipa con passione umana, culturale e politica ai dibattiti in corso (diritto di voto alle donne, Legge Merlin, ecc.).

Nel ’57 crea sull’ “Unità” la rubrica Mamma Giovedì allo scopo di parlare ai lettori di cose concrete, della vita di tutti i giorni, «attraverso la voce di una mamma immaginaria, di una famiglia immaginaria, eppure reale».

 Pietro diventa dirigente di primo piano nel PCI (è il primo presidente comunista della Camera dei deputati, dal 1976 al ’79), Laura sceglie l’attività politica di base, che le consente anche di impegnarsi nella scuola - un lavoro che ama molto - e sui temi della cultura. E che le consente, soprattutto, di non trascurare la sua vita familiare.

 «Di sé, mamma non raccontava molto. Ci apriva però lo scrigno prezioso delle grandi storie: Orlando Furioso, Promessi Sposi, Dante, Boccaccio (…). Un po’ per giorno, quando mangiavamo la sera o mentre ci portava in giro per Roma, arrampicandosi sugli autobus con le bambine attaccate alla gonna. Facevano parte di lei, queste storie, ed era naturale per lei trasmettercele, passarcele, farcele amare come le amava lei (…). Passava molte delle sue ore a tagliare, cucire, perfino ricamare. Vestendo le sue bambine da capo a piedi. O inventando e realizzando magnifici costumi per Carnevale. A cucire però non ci ha insegnato. Penso per scelta. Perché a quelle tante figlie femmine (…) importava - ricorda la figlia Celeste - insegnare ad aprire la mente, a scrivere, leggere, a pensare, a disegnare, a conquistarsi il proprio autonomo spazio nel mondo».


 Fino all’età di settant’anni Laura esercita l’insegnamento nelle scuole superiori, dove si era distinta fin dal ‘50 per i suoi metodi innovativi, per il rapporto con gli studenti e per i contenuti del sapere. Nessuna meraviglia, quindi, che partecipi al movimento della contestazione del ’68.

 Collabora alla Casa cinematografica Vides, e, al momento del pensionamento, entra come insegnante volontaria nel carcere di Rebibbia, lei che non aveva mai dimenticato il triste pianeta conosciuto nel ’39, quando andava da Lucio, detenuto a Regina Coeli.

 Fonda l’associazione “Ora d’aria” di assistenza ai detenuti, che lei chiama affettuosamente “i miei assassinetti”. Li tratta non solo come allievi, ma come persone, con i loro problemi, la loro vita, i loro sentimenti, intessendo con molti di loro un dialogo intensamente umano. Negli ultimi anni ha gravi problemi di salute. Muore nel 2003, lasciando cinque figli, nove nipoti, due pronipoti e molto rimpianto.

© 2014 Rita Frattolillo, tutti i diritti riservati

Fonti
Gemma Harasim, “Il disegno infantile (Appunti di una madre)” in Giuseppe Lombardo Radice, Athena fanciulla. Scienza e poesia della scuola serena, Bemporad, Firenze, 1924, p. 152.
Le notizie biografiche e le citazioni qui riportate sono tratte dal volume di Laura Lombardo Radice - Chiara Ingrao, Soltanto una vita, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano, 2005.

Comune di Firenze, convegno 18 aprile 2005
Il sito web del compagno Pietro Ingrao
Biblioteca Nazionale di Napoli
Articolo della "Repubblica" su morte di Pietro Ingrao, marito di Laura

4 commenti:

  1. Ho avuto l'onore ed il privilegio di essere stato suo allievo dal 1967 al 1970, la ricordo con affetto e riconoscenza per quanto ha saputo darmi. Grazie ancora Laura! Da Angelo Frammartino Istituto Magistrale "Alfredo Oriani" Corso B.

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  2. Caro Angelo, è proprio vero che chi ben semina, come la "nostra"Laura, continuerà a raccogliere per sempre nel cuore e nella memoria .....

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  3. Sono un'ammiratrice della sorella di Laura, Giuseppina Lombardo Radice, grandissima ineguagliabile grecista! Splendida la sua traduzione delle tragedie di Sofocle!...

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  4. Caro Anonimo, io non ho conosciuto la sorella, ma avendo avuto contatti con Laura, e sapendo la sua storia familiare di gente dedicata alla cultura e alla ricerca, non ho nessun dubbio circa le qualità e la preparazione di Giuseppina!

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