Due giornaliste, con alle spalle 20 anni di ricerche biografiche, hanno deciso di concentrarsi sul variegato mondo femminile, così poco studiato fino a non molto tempo fa e che la storia ha spesso relegato nel dimenticatoio...

venerdì 7 marzo 2014

Maria d'ARAGONA

di Barbara Bertolini

(Toscana 1874 – Torre di Lago Puiccini 1944) scrittrice, giornalista


In un pittoresco paesino del Molise abbiamo documentato una delle più belle storia d’amore sbocciata tra un giovane e geniale giornalista e una nobildonna toscana.
Florindo Scasserra, nato a Roccamandolfi nel 1881, a soli 18 anni pubblica il suo primo lavoro letterario, L’uomo conosce l’uomo. Due anni dopo, nel suo paese natale, fonda e dirige “Italia Moderna”, rivista quindicinale letteraria, artistica, scientifica. Per il suo giornale, l’audace giovane riesce ad ottenere la collaborazione di personaggi illustri, che apprezzano le idee del molisano. Infatti, collaborano al giornale non solo letterati quali Antonio Fogazzaro, Francesco d’Ovidio, Baldassarre Labanca, Edmondo de Amicis, ma anche tante scrittrici in auge allora come Clelia André, Diana Toledo, Gemma Giovannini ecc...

Ed è proprio sulle pagine di questa rivista che nasce l’ammirazione, poi l’amore tra due menti elevate: Florindo e Maria d’Aragona che finiscono per innamorarsi perdutamente solo attraverso la scrittura.
L'affascinante Florindo Scasserra

Nel numero del 20 dicembre del 1900, che trovo alla Biblioteca “Albino” di Campobasso, Florindo, nella rubrica “Posta” fa varie richieste ai suoi collaboratori e, in ultimo, sollecita la sconosciuta Maria a rispondere alla sua lettera. Questo fatto mi indica che a quella data i due hanno rapporti di sola collaborazione.
Maria d’Aragona, nata nel 1874, aveva sette anni in più di Florindo. Essa era discendente della nobile famiglia toscana dei Gherardi-Piccolomini ed aveva vissuto in Toscana un’infanzia e una gioventù dorate fino al tracollo finanziario della sua famiglia.


La ragazza che aveva poi dovuto lavorare come insegnante nelle scuole rurali della regione, seguiva contemporaneamente il grande fermento cultura d’inizio secolo, collaborando a riviste specializzate di letteratura. Una passione nata in famiglia poiché la madre, scrittrice di fama con lo pseudonimo di “Maria di Gardo”, aveva già pubblicato in quel periodo vari romanzi di successo. Romanzi che rientravano a pieno titolo nella cosiddetta letteratura d’evasione, ma con l’intento dichiarato di una sorta di educazione sentimentale.

Nell’introduzione di Amore ed Arte (che ha avuto 4 ristampe), la marchesa si rivolge alle sue quattro figlie, e in particolare a Maria, l’unica ancora non sposata:


A te, ultima diletta mia, cui il cielo ancora non ha manifestato qual debba essere il compagno della tua vita, a te il più caldo pensiero, il più ansioso avvertimento della madre tua. Stai in guardia! Hai la mente elevata, l’immaginazione fervida, il cuore ardente! Guarda che il fuoco non si appigli in legne aride e prive degli elementi indispensabili alla vita dell’anima!
Stai in guardia a chi darai i tuoi affetti, che un giorno non abbia a toccarti la più grande infelicità che possa colpire una donna, la lotta fra il cuore e il dovere, fra la moglie e la madre!”

Questa dedica è datata del 25 aprile 1894.

Non so se Florindo Scasserra rientrava nei parametri della madre. Ma una cosa è certa, essendo originario di un luogo misconosciuto e non di stirpe nobile, era molto improbabile che la Marchesa acconsentisse con entusiasmo al matrimonio – che avvenne tre anni dopo la sua morte.

Tuttavia, i consigli di una madre, anche se ascoltati, non tengono conto di fattori esterni che possono essere anch’essi portatori di sofferenza. Infatti, come indicato dalla marchesa, Maria ha scelto un uomo dal cuore nobile, ma ciò non è bastato a salvarla da un destino baro e terribilmente sfavorevole.

Comunque, proprio attraverso la scrittura della madre e della figlia che, seguendo le orme materne, ha pubblicato anche lei un romanzo sulla vita sentimentale di due giovani, si può contrapporre il loro modo diverso di vedere la realtà.
La vecchia marchesa fa, infatti dire, a Ruggero, il personaggio principale del suo romanzo:

Se dovessi un giorno prender moglie vorrei una buona donnina di casa, molto calma, che mi sapesse preparare un buon desinare, un bel letto caldo; mi tenesse la casa pulita, la roba accomodata, assecondasse i miei desideri quando li esprimo, senza prevenirli mai; ma non mettesse mai piedi nel mio studio, non aprisse mai il pianoforte, non parlasse mai né di musica, né di poesia: questa è la moglie che mi ci vuole.

Mentre a Lucia (innamorata segretamente di Ruggero) fa affermare (ed è qui il suo intento educativo):

… a me sembra che una donna che sappia veramente amare, faccia presto a conoscere le inclinazioni, i gusti, le abitudini del marito che adora. Nulla le costa per assecondarle, è anzi la sua gioia.
Essa riserberà le carezze pei momenti nei quali egli mostrerà desiderarle, sarà la fata benefica della sua casa, farà dei figli gli angeli del padre loro; la sua istruzione stessa, la fine educazione, l’intelligenza serviranno ad incoraggiare, aiutare, spingere il marito verso il fine nobilissimo dell’arte sua. E’ così che intendo la moglie di un artista!”

Per la Marchesa, dunque, da questo dialogo risulta che il marito debba sempre essere assecondato nei suoi desideri. L’unico rimprovero, invece, che l’anziana nobildonna gli muove è che l’uomo non può pretendere di avere al suo fianco una compagna senza cultura e poco intelligente perché saranno proprio l’intelligenza e la cultura a far funzionare meglio la famiglia e la coppia.

La figlia, invece, molto più sognatrice dell’anziana marchesa, nei suoi scritti, per quel che riguarda la scelta del partner, fa dire ad Adele, l’eroina del suo romanzo Piccolo mondo rusticano:

Io ho bisogno di un uomo nobile e fiero che sia a me superiore! Vorrei esser guidata, sì, ma da chi sapesse e potesse guidarmi: non da chi neppure saprebbe comprendermi!

Aggiungendo poi, a proposito del matrimonio ricco con una persona rozza che sta per fare una delle sue infelici protagoniste del libro:

I denari ci vogliono, sì, ma prima di tutto ci vuol l’educazione, l’uguaglianza nelle condizioni, l’istruzione, i nobili sentimenti, la gentilezza di cuore”.

Come vedete, Maria aggiusta il tiro e pretende che anche l’uomo ci metta del suo.
Comunque, la persona che la ragazza ha scelto, di educazione e di intelligenza ne ha da vendere. Infatti, Florindo, sulle pagine della rivista non manca mai di salutare ossequiosamente le gentili scrittrici e, dalle pagine di “Italia Moderna” trapela un cuore intrepido ed idealista. Sarà probabilmente questo a far breccia nel cuore della marchesina. Ma come è approdata Maria d’Aragona alla rivista del giornalista molisano? Probabilmente il trait d’union tra lei e il futuro marito, potrebbe essere stata la casa editrice torinese Giulio Speirani & Figli che ha pubblicato tutti i volumi della madre, ma anche quelli delle scrittrici che collaboravano alla rivista di Scasserra.
Roccamandolfi, vista da Campitello Matese

La marchesina, quindi, dopo il matrimonio abbandona la Toscana per installarsi a Roccamandolfi dove aiuterà il marito nelle sue mille attività letterarie, tra cui due giornali e una casa editrice.

I due, infatti, si completano perfettamente, sono animati dagli stessi interessi culturali: due menti sublimi che si capiscono e lottano per identici ideali.

Ne “Il giornale del Sannio”, fondato da loro, lei cura una rubrica: “Nell’arte e nella vita” e pubblica il suo poderoso romanzo Vittime della colpa, che viene presentato come opera socio-psicologica e che tratteggia la lotta tra la passione e il dovere.

E’ attraverso le pagine del loro giornale che si colgono le gioie e i dolori della coppia e il 1905 è un anno foriero insieme di belle e brutte notizie per gli sposi: Maria dà alla luce un bel bambino, ma Florindo viene colpito gravemente dalla tubercolosi.
Purtroppo, a 18 mesi muore il figlioletto e un altro grave lutto colpisce la giovane toscana. Florindo, consumato dalla tubercolosi, cessa di vivere nel 1906. L’amato marito dirà sul letto di morte:

Muoio a venticinque anni, con tante cose da fare, senza rimpianti, ma con un gran fardello di affetti! Amai il mio popolo né ne abusai, amai tutti, non odiai neppure il nemico… Mi si oscura l’universo!”. 

Sono persuasa che Florindo Scasserra è uno di quei molisani che, se il destino fosse stato più clemente con lui, avrebbe potuto raggiungere le vette italiane della letteratura e del giornalismo.
Maria trascrive così la sua grande pena nell’opera che pubblicherà sedici anni dopo, Vita e felicità:

La morte passa… una casa deserta, un tetto senza nidi, una mamma senza bimbi! L’anima piange le lacrime; si solcano gli occhi di una giovinezza distrutta, sembra che tutto un deserto si faccia la terra, che il sole non splenda più che per irradiare e inacerbire il dolore.   Una casa deserta in cui si cerca invano l’amato che è sparito è triste cosa, che sembra dolore senza conforto, tale, da distruggere una vita ed un’energia, tale da far odiare ogni richiamo alla serenità e alla felicità.”

Tuttavia, come dice il titolo (Vita e felicità), questo volume è un inno alla vita e ci dimostra come ogni persona è  a se stante, molto diversa anche nel dolore e, Maria d’Aragona, ci da qui una bella lezione di stile. La marchesina, infatti, così continua:

Eppure se l’anima colpita da questo strappo improvviso nella parte più viva di se stessa, è forte ed alta, saprà ritrovare la luce nell’ombra stessa del suo dolore, che, per natura, non è fecondo di morte, ma di vita”.

Persi gli affetti più cari, la giovane vedova abbandona il Molise e si trasferisce a Roma dove continua le attività di Florindo. Infatti, nel gennaio del 1908, sul primo numero di “Critica internazionale”, da lei fondato, riprende i temi cari al marito: pace, amore, fratellanza tra gli uomini e tra i popoli, da raggiungere attraverso la diffusione della scienza e dell’arte. Una rivista indirizzata soprattutto ad un pubblico femminile e borghese che si stava formando e istruendo in quegli anni in Italia. Anche lei ottiene la collaborazione di nomi noti.

Pubblica poi il romanzo Piccolo mondo rusticano, ultimato prima dei tragici eventi che l’hanno colpita e che non aveva ancora dato alle stampe.

Si tratta, infatti, di un libro fresco di buoni sentimenti, uno spaccato di vita della gioventù rurale di un borgo toscano all’inizio del ‘900 in cui la giovane autrice, riprendendo un tema caro alla mamma, si sofferma ad analizzare con acume gli innamoramenti e le disillusioni amorose, immergendo il lettore in un’atmosfera paesana dove l’uomo è il perno di tutto: egli fa e disfa a suo piacimento, trovando poi sempre un’anima gentile pronta a perdonarlo.

Vita e felicità esce, invece, a Firenze nel 1922. In questo volume,   vi sono densi capitoli di meditazioni filosofiche, estetiche, religiose, sostenute da una cultura notevole che spazia da Platone a S. Agostino, da Spinoza a Bacone, da Rousseau a Lamneais, Carlyle, Emerson, Maeterlinck. E, tra le tante perle di saggezza che l’autrice ci regala sulla felicità, valide allora come oggi:

“… ma ricordiamo bene che la felicità, la vera, l’unica che irradia la vita al di sopra e al di là di ogni passione e di ogni dolore, è Attività, Armonia, Unità”.

Poi arriva il fascismo, arriva la guerra e  di Maria d’Aragona si perdono le tracce fino a quel tragico giorno di settembre del 1944 che scopro da una lettera indirizzata da un parente di Maria all’arciprete Cesare Scassera di Boiano, fratello di Florindo.

La toscana aveva aderito con convinzione al fascismo, ritenendolo un passaggio necessario verso una rigenerazione sociale e intellettuale della società italiana. Non avrebbe mai immaginato, allora, di concludere la sua esistenza ammazzata dai tedeschi. Infatti, nel settembre del 1944, a Torre di Lago Puccini dove si era trasferita, i soldati della Wermacht, in ritirata, minano il paese obbligando tutti ad abbandonare le case. Lei rifiuta. I militi non hanno tempo da perdere con una vecchia testarda, la fucilano all’istante, senza processo, senza pietà.

Maria d’Aragona lascia dunque, l’esempio di una donna forte, sicura, coraggiosa.

Barbara Bertolini, © 2014 Tutti i diritti riservati

Fonti:
Quasi tutto Il materiale su Maria d’Aragona mi è stato fornito dal Professor SebastianoMartelli, originario di Roccamandolfi, che è riuscito a mettere in salvo il patrimonio bibliotecario del fratello di Florindo Scasserra donandolo alla Biblioteca provinciale “Albino” di Campobasso.

Aa. V.v, Fonti per la storia di una comunità molisana. Roccamandolfi tra il XII ed il XX secolo, Mostra documentaria, Archivio di Stato, Campobasso 1991, Protagonisti e fermenti della cultura locale a cura di Sebastiano Martelli e Renata De Benedittis, p. 95;

di Gardo Maria, Amore ed arte, Giulio Speirani e Figli, Torino 1897
d’Aragona Maria, Piccolo mondo rusticano, Giulio Speirani e Figli, Torino, s.d. ma circa il 1903;
d’Aragona Maria, Vita e felicità, Carpignani e Zepoli, Firenze 1922;
E i vari giornali pubblicati sia dal marito, Florindo Scassera, che dai due coniugi, come “Il Giornale del Sannio” o “Italia Moderna”;
Beconi Serafino, lettera inviata al fratello di Florindo, reverendo Cesare Scasserra, per informarlo della morte di Maria d’Aragona.
Frattolillo R., Bertolini B., Il tempo sospeso. Donne nella storia del Molise, Libreria Editrice Filopoli, Campobasso 2007. 

Su internet si trovano poche cose su di lei, tra cui:
Sciommeri. G., Uno sconosciuto manoscritto di cantate della Biblioteca Albino di Campobasso:
ww.academia.edu/2339880/Uno_sconosciuto_manoscritto_di_cantate_della_Biblioteca_Pasquale_Albino_di_Campobasso_Fonti_Musicali_Italiane_17_2012_pp._85-103

1 commento:

  1. Chères Barbara et Rita,

    c'est toujours un grand plaisir de lire vos biografies, j'adore vraiment. Ces femmes sont exceptionnelles avec un caractère très affirmé... C'est comme cela que nous allons de l'avant, nous femmes.
    Merci pour tout votre travail de recherches et merci à la Bibliothèque Albino de Campobasso d'exister.. encore.

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