di
Barbara Bertolini
(Toscana 1874 – Torre di Lago
Puiccini 1944) scrittrice, giornalista
In un pittoresco paesino del Molise abbiamo documentato una delle più belle storia d’amore sbocciata tra un giovane e geniale giornalista e una nobildonna toscana.
Florindo
Scasserra, nato a Roccamandolfi nel 1881, a soli 18 anni pubblica il suo primo
lavoro letterario, L’uomo conosce l’uomo.
Due anni dopo, nel suo paese natale, fonda e dirige “Italia Moderna”, rivista
quindicinale letteraria, artistica, scientifica. Per il suo giornale, l’audace
giovane riesce ad ottenere la collaborazione di personaggi illustri, che apprezzano
le idee del molisano. Infatti, collaborano al giornale non solo letterati quali
Antonio Fogazzaro, Francesco d’Ovidio, Baldassarre Labanca, Edmondo de Amicis,
ma anche tante scrittrici in auge allora come Clelia André, Diana Toledo, Gemma
Giovannini ecc...
Ed è
proprio sulle pagine di questa rivista che nasce l’ammirazione, poi l’amore tra
due menti elevate: Florindo e Maria d’Aragona che finiscono per innamorarsi perdutamente solo attraverso la
scrittura.
Nel
numero del 20 dicembre del 1900, che trovo alla Biblioteca “Albino” di
Campobasso, Florindo, nella rubrica “Posta” fa varie richieste ai suoi
collaboratori e, in ultimo, sollecita la sconosciuta Maria a rispondere alla
sua lettera. Questo fatto mi indica che a quella data i due hanno rapporti di
sola collaborazione.
Maria
d’Aragona, nata nel 1874, aveva sette anni in più di Florindo. Essa era
discendente della nobile famiglia toscana dei Gherardi-Piccolomini ed aveva
vissuto in Toscana un’infanzia e una gioventù dorate fino al tracollo
finanziario della sua famiglia.
La ragazza che aveva poi dovuto lavorare come insegnante nelle scuole rurali della regione, seguiva contemporaneamente il grande fermento cultura d’inizio secolo, collaborando a riviste specializzate di letteratura. Una passione nata in famiglia poiché la madre, scrittrice di fama con lo pseudonimo di “Maria di Gardo”, aveva già pubblicato in quel periodo vari romanzi di successo. Romanzi che rientravano a pieno titolo nella cosiddetta letteratura d’evasione, ma con l’intento dichiarato di una sorta di educazione sentimentale.
Nell’introduzione
di Amore ed Arte (che ha avuto 4
ristampe), la marchesa si rivolge alle sue quattro figlie, e in particolare a
Maria, l’unica ancora non sposata:
“A te, ultima diletta mia, cui il cielo ancora non ha manifestato qual debba essere il compagno della tua vita, a te il più caldo pensiero, il più ansioso avvertimento della madre tua. Stai in guardia! Hai la mente elevata, l’immaginazione fervida, il cuore ardente! Guarda che il fuoco non si appigli in legne aride e prive degli elementi indispensabili alla vita dell’anima!
Stai in
guardia a chi darai i tuoi affetti, che un giorno non abbia a toccarti la più
grande infelicità che possa colpire una donna, la lotta fra il cuore e il
dovere, fra la moglie e la madre!”
Questa
dedica è datata del 25 aprile 1894.
Non so
se Florindo Scasserra rientrava nei parametri della madre. Ma una cosa è certa,
essendo originario di un luogo misconosciuto e non di stirpe nobile, era molto
improbabile che la Marchesa acconsentisse con entusiasmo al matrimonio – che
avvenne tre anni dopo la sua morte.
Tuttavia,
i consigli di una madre, anche se ascoltati, non tengono conto di fattori
esterni che possono essere anch’essi portatori di sofferenza. Infatti, come
indicato dalla marchesa, Maria ha scelto un uomo dal cuore nobile, ma ciò non è
bastato a salvarla da un destino baro e terribilmente sfavorevole.
Comunque,
proprio attraverso la scrittura della madre e della figlia che, seguendo le
orme materne, ha pubblicato anche lei un romanzo sulla vita sentimentale di due
giovani, si può contrapporre il loro modo diverso di vedere la realtà.
La
vecchia marchesa fa, infatti dire, a Ruggero, il personaggio principale del suo
romanzo:
“Se
dovessi un giorno prender moglie vorrei una buona donnina di casa, molto calma,
che mi sapesse preparare un buon desinare, un bel letto caldo; mi tenesse la
casa pulita, la roba accomodata, assecondasse i miei desideri quando li
esprimo, senza prevenirli mai; ma non mettesse mai piedi nel mio studio, non
aprisse mai il pianoforte, non parlasse mai né di musica, né di poesia: questa
è la moglie che mi ci vuole.
Mentre
a Lucia (innamorata segretamente di Ruggero) fa affermare (ed è qui il suo
intento educativo):
… a me sembra
che una donna che sappia veramente amare, faccia presto a conoscere le
inclinazioni, i gusti, le abitudini del marito che adora. Nulla le costa per
assecondarle, è anzi la sua gioia.
Essa riserberà
le carezze pei momenti nei quali egli mostrerà desiderarle, sarà la fata
benefica della sua casa, farà dei figli gli angeli del padre loro; la sua
istruzione stessa, la fine educazione, l’intelligenza serviranno ad
incoraggiare, aiutare, spingere il marito verso il fine nobilissimo dell’arte
sua. E’ così che intendo la moglie di un artista!”
Per la
Marchesa, dunque, da questo dialogo risulta che il marito debba sempre essere
assecondato nei suoi desideri. L’unico rimprovero, invece, che l’anziana
nobildonna gli muove è che l’uomo non può pretendere di avere al suo fianco
una compagna senza cultura e poco intelligente perché saranno proprio
l’intelligenza e la cultura a far funzionare meglio la famiglia e la coppia.
La
figlia, invece, molto più sognatrice dell’anziana marchesa, nei suoi scritti,
per quel che riguarda la scelta del partner, fa dire ad Adele, l’eroina del suo
romanzo Piccolo mondo rusticano:
“Io ho
bisogno di un uomo nobile e fiero che sia a me superiore! Vorrei esser guidata,
sì, ma da chi sapesse e potesse guidarmi: non da chi neppure saprebbe
comprendermi!”
Aggiungendo
poi, a proposito del matrimonio ricco con una persona rozza che sta per fare
una delle sue infelici protagoniste del libro:
“I
denari ci vogliono, sì, ma prima di tutto ci vuol l’educazione, l’uguaglianza
nelle condizioni, l’istruzione, i nobili sentimenti, la gentilezza di cuore”.
Come vedete,
Maria aggiusta il tiro e pretende che anche l’uomo ci metta del suo.
Comunque,
la persona che la ragazza ha scelto, di educazione e di intelligenza ne ha da
vendere. Infatti, Florindo, sulle pagine della rivista non manca mai di
salutare ossequiosamente le gentili scrittrici e, dalle pagine di “Italia
Moderna” trapela un cuore intrepido ed idealista. Sarà probabilmente questo a
far breccia nel cuore della marchesina. Ma come è approdata Maria d’Aragona
alla rivista del giornalista molisano? Probabilmente il trait d’union tra lei e
il futuro marito, potrebbe essere stata la casa editrice torinese Giulio
Speirani & Figli che ha pubblicato tutti i volumi della madre, ma anche
quelli delle scrittrici che collaboravano alla rivista di Scasserra.
Roccamandolfi, vista da Campitello Matese |
La
marchesina, quindi, dopo il matrimonio abbandona la Toscana per installarsi a
Roccamandolfi dove aiuterà il marito nelle sue mille attività letterarie, tra
cui due giornali e una casa editrice.
I due,
infatti, si completano perfettamente, sono animati dagli stessi interessi
culturali: due menti sublimi che si capiscono e lottano per identici ideali.
Ne “Il
giornale del Sannio”, fondato da loro, lei cura una rubrica: “Nell’arte e nella
vita” e pubblica il suo poderoso romanzo Vittime
della colpa, che viene presentato come opera socio-psicologica e che
tratteggia la lotta tra la passione e il dovere.
E’
attraverso le pagine del loro giornale che si colgono le gioie e i dolori della
coppia e il 1905 è un anno foriero insieme di belle e brutte notizie per gli
sposi: Maria dà alla luce un bel bambino, ma Florindo viene colpito gravemente
dalla tubercolosi.
Purtroppo,
a 18 mesi muore il figlioletto e un altro grave lutto colpisce la giovane
toscana. Florindo, consumato dalla tubercolosi, cessa di vivere nel 1906.
L’amato marito dirà sul letto di morte:
“Muoio a
venticinque anni, con tante cose da fare, senza rimpianti, ma con un gran
fardello di affetti! Amai il mio popolo né ne abusai, amai tutti, non odiai
neppure il nemico… Mi si oscura l’universo!”.
Sono
persuasa che Florindo Scasserra è uno di quei molisani che, se il destino fosse
stato più clemente con lui, avrebbe potuto raggiungere le vette italiane della
letteratura e del giornalismo.
Maria
trascrive così la sua grande pena nell’opera che pubblicherà sedici anni dopo, Vita e felicità:
“La
morte passa… una casa deserta, un tetto senza nidi, una mamma senza bimbi!
L’anima piange le lacrime; si solcano gli occhi di una giovinezza distrutta,
sembra che tutto un deserto si faccia la terra, che il sole non splenda più che
per irradiare e inacerbire il dolore.
Una casa deserta in cui si cerca invano l’amato che è sparito è triste
cosa, che sembra dolore senza conforto, tale, da distruggere una vita ed un’energia,
tale da far odiare ogni richiamo alla serenità e alla felicità.”
Tuttavia,
come dice il titolo (Vita e felicità), questo volume è un inno alla vita e ci
dimostra come ogni persona è a se
stante, molto diversa anche nel dolore e, Maria d’Aragona, ci da qui una bella
lezione di stile. La marchesina, infatti, così continua:
“Eppure
se l’anima colpita da questo strappo improvviso nella parte più viva di se stessa,
è forte ed alta, saprà ritrovare la luce nell’ombra stessa del suo dolore, che,
per natura, non è fecondo di morte, ma di vita”.
Persi
gli affetti più cari, la giovane vedova abbandona il Molise e si trasferisce a
Roma dove continua le attività di Florindo. Infatti, nel gennaio del 1908, sul
primo numero di “Critica internazionale”, da lei fondato, riprende i temi cari
al marito: pace, amore, fratellanza tra gli uomini e tra i popoli, da
raggiungere attraverso la diffusione della scienza e dell’arte. Una rivista
indirizzata soprattutto ad un pubblico femminile e borghese che si stava
formando e istruendo in quegli anni in Italia. Anche lei ottiene la
collaborazione di nomi noti.
Pubblica
poi il romanzo Piccolo mondo rusticano,
ultimato prima dei tragici eventi che l’hanno colpita e che non aveva ancora
dato alle stampe.
Si
tratta, infatti, di un libro fresco di buoni sentimenti, uno spaccato di vita
della gioventù rurale di un borgo toscano all’inizio del ‘900 in cui la giovane
autrice, riprendendo un tema caro alla mamma, si sofferma ad analizzare con
acume gli innamoramenti e le disillusioni amorose, immergendo il lettore in
un’atmosfera paesana dove l’uomo è il perno di tutto: egli fa e disfa a suo
piacimento, trovando poi sempre un’anima gentile pronta a perdonarlo.
Vita e felicità esce, invece, a Firenze nel 1922. In questo volume, vi sono
densi capitoli di meditazioni filosofiche, estetiche, religiose, sostenute da
una cultura notevole che spazia da Platone a S. Agostino, da Spinoza a Bacone,
da Rousseau a Lamneais, Carlyle, Emerson, Maeterlinck. E, tra le tante perle di
saggezza che l’autrice ci regala sulla felicità, valide allora come oggi:
“… ma ricordiamo bene che la felicità, la
vera, l’unica che irradia la vita al di sopra e al di là di ogni passione e di
ogni dolore, è Attività, Armonia, Unità”.
Poi
arriva il fascismo, arriva la guerra e
di Maria d’Aragona si perdono le tracce fino a quel tragico giorno di
settembre del 1944 che scopro da una lettera indirizzata da un parente di Maria
all’arciprete Cesare Scassera di Boiano, fratello di Florindo.
La
toscana aveva aderito con convinzione al fascismo, ritenendolo un passaggio
necessario verso una rigenerazione sociale e intellettuale della società
italiana. Non avrebbe mai immaginato, allora, di concludere la sua esistenza
ammazzata dai tedeschi. Infatti, nel settembre del 1944, a Torre di Lago
Puccini dove si era trasferita, i soldati della Wermacht, in ritirata, minano
il paese obbligando tutti ad abbandonare le case. Lei rifiuta. I militi non
hanno tempo da perdere con una vecchia testarda, la fucilano all’istante, senza
processo, senza pietà.
Maria d’Aragona lascia dunque, l’esempio di
una donna forte, sicura, coraggiosa.
Barbara
Bertolini, © 2014 Tutti i diritti
riservati
Fonti:
Quasi tutto
Il materiale su Maria d’Aragona mi è stato fornito dal Professor SebastianoMartelli, originario di Roccamandolfi, che è riuscito a mettere in salvo il
patrimonio bibliotecario del fratello di Florindo Scasserra donandolo alla
Biblioteca provinciale “Albino” di Campobasso.
Aa.
V.v, Fonti per la storia di una comunità
molisana. Roccamandolfi tra il XII ed il XX secolo, Mostra documentaria,
Archivio di Stato, Campobasso 1991, Protagonisti
e fermenti della cultura locale a cura di Sebastiano Martelli e Renata De
Benedittis, p. 95;
di
Gardo Maria, Amore ed arte, Giulio Speirani e Figli, Torino 1897
d’Aragona
Maria, Piccolo mondo rusticano,
Giulio Speirani e Figli, Torino, s.d. ma circa il 1903;
d’Aragona
Maria, Vita e felicità, Carpignani e
Zepoli, Firenze 1922;
E i
vari giornali pubblicati sia dal marito, Florindo Scassera, che dai due
coniugi, come “Il Giornale del Sannio” o “Italia Moderna”;
Beconi
Serafino, lettera inviata al fratello di Florindo, reverendo Cesare Scasserra,
per informarlo della morte di Maria d’Aragona.
Frattolillo R., Bertolini B., Il tempo sospeso. Donne nella storia del Molise, Libreria Editrice Filopoli, Campobasso 2007.
Frattolillo R., Bertolini B., Il tempo sospeso. Donne nella storia del Molise, Libreria Editrice Filopoli, Campobasso 2007.
Su
internet si
trovano poche cose su di lei, tra cui:
Sciommeri.
G., Uno sconosciuto manoscritto di
cantate della Biblioteca Albino di Campobasso:
ww.academia.edu/2339880/Uno_sconosciuto_manoscritto_di_cantate_della_Biblioteca_Pasquale_Albino_di_Campobasso_Fonti_Musicali_Italiane_17_2012_pp._85-103
Chères Barbara et Rita,
RispondiEliminac'est toujours un grand plaisir de lire vos biografies, j'adore vraiment. Ces femmes sont exceptionnelles avec un caractère très affirmé... C'est comme cela que nous allons de l'avant, nous femmes.
Merci pour tout votre travail de recherches et merci à la Bibliothèque Albino de Campobasso d'exister.. encore.