di Barbara Bertolini
(Port Arthur, Texas, USA 1934 – New York
2003), arpista
La
storia dell’arpista Francesca Corsi ne racchiude, in effetti, due: la sua e
quella di suo padre Michele, emigrato in America dal Molise: due storie molto interessanti.
Ed è di queste che voglio raccontarvi.
Michele,
padre di Francesca, nasce a Casacalenda all’inizio del ‘900 ed emigra con la
propria famiglia in America all’età di 13 anni. L’attraversata dell’Atlantico
lascia un segno indelebile nel giovane molisano: anche lui vuole diventare
navigante. E per realizzare questo sogno lavora e studia duro. Riesce, infatti,
a riscattare la sua condizione di miseria diventando capitano di una nave.
Durante la Seconda guerra mondiale la sua imbarcazione è silurata dai
giapponesi nel Pacifico del Sud. Riesce a sopravvivere per dodici giorni aggrappato ad un rottame prima di essere
tratto in salvo. L’unica cosa che gli rimane in mano del suo bastimento, prima
di finire in acqua, è il sestante. Oggetto simbolo del suo riscatto sociale e che sarà poi il portafortuna di
questo marinaio dal carattere gioviale e “sciupafemmine”, che porterà sempre con sé, anche nella
tomba (lo chiede espressamente nel testamento).
Alla
fine della guerra riprende la navigazione per conto della Texaco ed è tra un
porto e l’altro che è informato, nel 1934, della nascita di Francesca. La moglie,
originaria della Sicilia, vive con la bimba a Port Arthur in Texas. Purtroppo
il loro matrimonio non sopravvive alla dura legge del mare. Infatti, Michele
non ci sta mai quando serve, e in più le sue tendenze più che libertine fanno
il resto. I due divorziano ed è Francesca a pagare le conseguenze di questa
rottura. Per lei il papà era un mito che in cinque minuti sapeva farsi
perdonare delle sue lunghe assenze. Lei, invece, non perdonerà mai ai genitori
la separazione. Michele Corsi, dopo questa vicenda familiare, non si risposerà più
e passerà tutta la sua vita nei mari del mondo.
Gli
ultimi anni da marinaio li trascorrerà a New Orleans. Racconta il cugino,
Pietro Corsi, scrittore italo-americano, parlando di quei giorni: «Quando lo
visitai, nell'ottobre del 1963, mi fece scoprire una New Orleans che non avrei
mai potuto conoscere da solo. Bourbon Street era il suo quartiere preferito,
popolato da cocktail lounges e
ristoranti di moda, specie francesi, e night club dove si respirava aria di
jazz ad ogni ora del giorno e della notte. Le hostess di quei posti lo
conoscevano bene, Michael di qua, Michael di là. Lo vezzeggiavano come un
cliente prediletto o come il vecchietto che poteva essere loro padre ma che
loro amavano, se non altro perché le trattava con generosità e rispetto. Scoprii,
con lui, le raffinatezze della cucina creola della Luisiana i cui sapori ed
odori avevano il potere di entrare nel corpo per restarvi, ospiti inattesi, per
giornate intere».
Alla
pensione, Michele Corsi ritornerà definitivamente a Casacalenda nel 1965, solo,
e vi morirà nel 1972, dopo aver cercato, senza successo, di fare il vignaiolo.
Intanto
Francesca
cresce con la musica nel
sangue. Sembra, infatti, che un antenato della famiglia Corsi sia quel Jacopo
che aprì la via all’opera moderna (parole e musica).
Per
assecondare le sue inclinazioni, viene iscritta alla Julliard School of Music,
la più antica degli Stati Uniti e studia, con successo, sotto la guida del
grande arpista, organista e compositore Marcel Grandjany, parigino d'origine,
conseguendo il Master in musica. Con il Maestro s’instaura un rapporto fatto di
stima. Infatti, la discepola, per i suoi concerti personali, spesso usa le
musiche composte da Grandjany, in
particolare : "Fantasie sur un
thème de Haydn", "Prélude
pour Harpe", "Dans la forêt
du charme".
Il
suo primo ingaggio arriva dalla famosa Big Band di Ted Auletta che aveva
bisogno di un’arpista in gamba per la sua orchestra. Partecipa, quindi, a
diversi musicals di Broadway, tra i
quali la produzione originale di "She
loves me", su libretto di Joe Masteroff e musica di Jerry Brock,
"The roar of the greasepaint",
parole e musica di Leslie Bricusse e Anthony Newly, "Nick and Nora" con Joanna Cleason, la versione teatrale di
"The red shoes", tratto da
una favola di Hans Christian Andersen, che le permettono di farsi conoscere.
Infatti, i grandi nomi della musica
newyorkese, ogni volta che hanno bisogno di un’arpista, fanno ricorso a lei.
E’
chiamata infine alla New York City Opera dal direttore d’orchestra Julius
Rudel, quando questi ne diventa direttore principale divenendo, con il tempo,
la “Principal Harpist” di
quell’orchestra, girando tutta l’America sia come solista che come arpista
sinfonica.
Come
orchestrale dell'Opera, infatti, nel
1981, partecipa anche al "Live
Telecast from the Lincoln Center" con Pavarotti, Sutherland e Horne. Ha
spesso accompagnato la soprano Beverly Sills, ma anche il cantante Norman
Treigle, lo stesso Pavarotti, Sherrill Milnes, Placido Domingo e tanti altri.
Da allora, infatti, la sua arpa, in 35 anni, ha accompagnato tutti i grandi che
sono passati per la New York City Opera.
La
musicista, raggiunta ormai l’età della pensione, morti i genitori, aveva scelto
di continuare a vivere nella Grande Mela. Ed è lì che è morta in un torrido
giorno di agosto. Il suo cuore sembra
non aver retto allo spavento causato dal black-out vissuto nella sua città di
adozione, in quella infuocata estate del 2003, e durato a lungo. L’attacco degli estremisti
islamici alle Torri Gemelle dell’anno prima l’aveva profondamente scossa e, il
buio, calato all’improvviso su New York,
senza ricevere per tante ore nessuna informazione, le ha probabilmente
provocato un grandissimo stato d’ansia, facendo cedere il suo cuore già debole.
Il corpo della musicista è stato ritrovato dopo due settimane dal decesso.
La
Corsi, che aveva 69 anni e non era sposata, era una donna schiva che
viveva per la scena e il pubblico. Ma l’arpista non è stata vittima della
solitudine, come si potrebbe pensare ma, pittosto, vittima del suo pudore.
Infatti, è stato questo ad impedirle di allarmare i parenti e i vicini sul suo
reale stato di salute. Lei, che ha dato tanto agli altri, mai e poi mai avrebbe
osato disturbare qualcuno, foss’anche il suo portiere!
L’elegante
signora della musica, così come l’avevano definita per il suo modo sempre impeccabile di
presentarsi, poteva, infatti, contare anche sul portiere del suo stabile, che
l’aveva salutata al suo rientro la sera prima del suo decesso e che è stato
l’ultimo a vederla viva.
Per
onorare la sua prima arpista, la New York City Opera il 7 ottobre 2003 ha tenuto una cerimonia
commemorativa sulla piazza del Lincoln Center di Manhattan. Quasi tutti i più
grandi nomi di questa istituzione erano presenti: David Pitcomb, amministratore della New York
City Opera, Paul Kellogg, il Direttore generale, George Manahan, Direttore
musicale, James A. Biddlecome, Direttore della North Jersey Philarmonic della
quale Francesca Corsi è stata benefattrice e che una settimana dopo, il giorno
12, ha voluto dedicarle la première di un suo concerto (Ouverture di Romeo e
Giulietta di Peter Ilyich Tchaikovsky, seguita dal Piano Concerto N°. 2 di
Serge Rachmaninov), Henry Fanelli e Ray Papay-Corsi (anche lui originario di
Casacalenda).
Secondo
Pietro Corsi, presente alla cerimonia come relatore, e che ha voluto
ricordare le origini della famiglia
Corsi di Casacalenda, si sono stretti intorno alla loro amica e collega «la
maggior parte dei componenti della New York City Opera, molti di essi accompagnati dalle loro
famiglie che la conoscevano da oltre quarant’anni e che hanno scelto di
ricordarla per quella che era sempre stata: la grande "signora"
dell’Opera newyorchese, sempre impeccabile ed elegante, ingioiellata, l'unica
donna che poteva permettersi il lusso di suonare l'arpa con tacchi alti fino
alla fine dei suoi giorni. Era sempre la prima ad arrivare sia per le prove che
per i concerti: si attaccava all'arpa per mettere a tono ogni singola corda e
non era soddisfatta se non dopo averle riprovate tutte. I suoi colleghi
dicevano che era un’ossessione: lei li correggeva, pregandoli di usare il
termine “perfezione”!».
Barbara
Bertolini, © 2014 Tutti i diritti
riservati
Fonti:
Materiale fornito dal cugino
Pietro Corsi, scrittore italo-americano.
Sul web:
J J Johnson, l’orchestra Brass, 1997
Associated Muicians of Greater New York
New York Times, 7 ottobre 2003
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